VISTA L'IMPORTANZA DELL'ARGOMENTO RILANCIO L'APPELLO!
martedì 8 febbraio 2011
sabato 29 gennaio 2011
Spunto di riflessione, anzi, metro di misura

Parlando con un amico, di cui non posso rivelarvi il nome ma che chiameremo Roberto, ho colto nelle sue parole quello che credevo fosse un bellissimo spunto di riflessione da condividere con voi. Mi sono poi accorto che il suo pensiero poteva essere assunto a metro di misura. Stavamo conversando dei nostri figli e del rapporto che abbiamo con essi. Roberto mi ha fatto notare che, quando siamo innamorati di una persona facciamo dei progetti che coinvolgono noi e l’altra persona. Vero, totalmente vero. Se sei innamorato di un individuo, pensi che andrete insieme al ristorante, in vacanza, al cinema, etc... Programmi delle attività da compiere unitamente! “Pochi sono innamorati dei propri figli”, questa la frase che ha pronunciato l’amico e che mi ha colpito! Il primo pensiero che può saltare alla mente è che questo non sia vero. Andando ad analizzare più in profondità questo concetto si può arrivare a condividerlo. Chi ha figli si occupa di loro: li mette a letto, li veste, li lava, li nutre, li porta a scuola e li va a prendere, compra loro dei vestiti, etc…
“Sì, ma questo è ciò che fai per una persona a cui vuoi bene”, questo il Roberto pensiero, “ se li ami devi avere il desiderio di costruire delle cose da condividere con loro, devi costruire uno spazio vostro, uno spazio da condividere,… come farebbero due innamorati!”
Roberto: hai fatto centro! L’amore che un genitore prova per un figlio, anche se difficilmente misurabile, è sicuramente molto grande ma l’innamoramento è un’altra cosa. Devo dire che, probabilmente, sono davvero pochi i genitori innamorati dei propri figli. O meglio, forse sono pochi quelli che lo restano tutta la vita. E’ molto semplice essere innamorati di un pargoletto di pochi mesi che ispira tenerezza nel suo aspetto ed in ogni cosa che fa scoprendo il mondo. Diventa certamente più difficile restare innamorati dello stesso bimbo quando si sa che ci aspetta una dura riunione con il nostro capo, alla quale non possiamo permetterci di giungere in ritardo, e il bel pargoletto urla e piange perché non vuole essere lavato e vestito per andare all’asilo. Si trasforma in missione quasi eroica restare innamorati del “pargolo” nell’età adolescenziale, periodo nel quale vi è la presa di coscienza del Sé e l’affermazione della personalità attraverso la ribellione e lo scontro con i genitori. Resta il fatto che Roberto ci ha messo una pulce nell’orecchio e, soprattutto, ci ha dato un nuovo metro di misura per quantificare l’amore nei confronti dei nostri figli. Grazie Roberto. E voi cosa ne pensate? Aspetto le vostre riflessioni.
Vi saluto e vi abbraccio.
"Tutto accade, adesso". Luca
giovedì 27 gennaio 2011
mercoledì 26 gennaio 2011
martedì 25 gennaio 2011
venerdì 21 gennaio 2011
domenica 16 gennaio 2011
venerdì 14 gennaio 2011
“La teoria degli spazzini… e la protezione che ci serve”

Si muove, nel nostro tessuto sociale, un esercito di persone che, quasi invisibilmente, lavora per noi. Mi capita spesso d’uscire il mattino presto per fare lunghe camminate. Abito ad Abbiategrasso, una “perla” incastonata nel parco del Ticino. Come tutte le perle presenta pregi e difetti: pazienza! Se non ci fossero i difetti non potremmo accorgerci dei pregi. Nelle mie escursioni mattutine mi trovo ripetutamente a transitare in una zona dov’è situato il ricovero mezzi dell’azienda che si occupa dello smaltimento dei rifiuti e della pulizia del centro urbano. Il luogo si trova, ovviamente, in una posizione decentrata rispetto all’abitato ed immersa nella campagna. Soprattutto nelle giornate d’inverno, alle sei del mattino è ancora buoi. Proprio a quell’ora accade una magia. Dal nulla sbucano, come mille formiche laboriose, furgoni, camion, camioncini e altri mezzi di tutte le forme e “razze”. Tutti col loro faro lampeggiante che ruotando illumina le campagne circostanti ed avvisa del loro arrivo. Una specie d’orgoglio manifesto che spicca nel buio a porre l’accento su quella lunga teoria di mezzi per ricordarci che, se non ci fossero loro a sacrificare le loro ore di sonno in cambio di pochi spiccioli, tanta fatica e tanta “puzza sotto il naso”, la nostra cittadina sarebbe sommersa dai rifiuti. Allo stesso modo, li vedi spuntare in ogni angolo della città, intenti nello svuotare cestini, spazzare marciapiedi, svuotare bidoni. Prima che la città, pigramente si svegli, loro l’hanno riordinata. Bravi: a voi giunga la mia gratitudine. Giunga a voi che lasciate nei loro letti caldi le vostre compagne e i vostri figli perché possano godersi gli sgoccioli di quella notte che per voi termina ore prima. Ancora grazie.
Vorrei ringraziare anche qualcun altro che, per occuparsi di noi tutti, esce di casa al mattino senza avere la certezza che vi farà ritorno la sera. Per motivi di lavoro ha frequentato le questure di mezz’Italia e collaborato con molti uomini delle forze di Polizia e Carabinieri. Per questo ho imparato a riconoscerli anche quando, per motivi di servizio, non indossano la divisa: posso garantirvi che sono dappertutto. Ne vedo ovunque ed in grande quantità. Anche a loro giunga tutta la mia gratitudine! Ho scelto due categorie a caso tra quelle che passano la vita ad occuparsi del nostro benessere e della nostra sicurezza, spesso, a scapito del loro benessere e della loro sicurezza. Ora, per questo, vorrei fare come farebbe un padre coi propri figli e “insegnarvi” a non dare tutto per scontato. A non pensare che tutto ciò vi sia dovuto. Imparate ad apprezzare ciò che vi viene dato e , soprattutto, imparate a rispettare costoro perché non “sono” netturbini, poliziotti o qualcos’altro: sono uomini e donne come voi e come me! Hanno sentimenti, paure, gioie e d emozioni come voi!
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
giovedì 13 gennaio 2011
“Predicare bene e razzolare… allo stesso modo”

Molti cadono nell’errore di “predicare bene e razzolare male”. Anche e soprattutto nei confronti dei figli è facile dire loro “non fare questo” o “non fare quello” e poi ritrovarsi, dinanzi ai loro occhi, a fare proprio ciò che avevamo proibito. Non solo i genitori cadono in questo errore ma anche blasonati professionisti. Prendete ad esempio i medici. Vi è mai capitato di sentire un medico dirvi “lei deve smettere di fumare, perché fumare fa male” e vedere che lui ha un pacchetto di sigarette accanto alle chiavi dell’auto? E’ l’esempio a lasciare il segno non le parole. Capita anche d’ascoltare persone, indipendentemente dall’attività che svolgono, dare consigli sul come fare cose che loro non hanno mai provato a mettere in pratica. La mia domanda è: “Se non hai mai provato sulla tua pelle, come puoi insegnare a un altro e pretendere che lui lo faccia?”
E se quel che stai chiedendo non è possibile? Se non hai provato a farlo come puoi saperlo? Questo tipo di pensiero mi porta a mettermi costantemente alla prova e a sperimentare al fine di proporre sempre un aiuto che parta da basi esperienziali. Per questo, in questi giorni, mi sono dato un traguardo che coinvolge altre persone e che dista 296 giorni. Amo la corsa e la pratico, da sempre, a periodi alterni a causa d’infortuni vari. Le mie scarpe da running sono appese al chiodo da fine settembre. Uno stop di quasi quattro mesi. Questo mi mette nella condizione d’essere, di nuovo, un principiante. Il mio fisico è, a tutti gli effetti, senza allenamento come quello di un debuttante. Coinvolgendo un coach che prepara abitualmente gli atleti alle gare, mi sono dato un obbiettivo molto ambizioso: correre la New York City Marathon in 3ore e 58 minuti! Il preparatore, di cui al momento non vi faccio il nome, ha ammesso che l’impresa, se pur molto impegnativa fisicamente e mentalmente, è realizzabile. Certo l’impegno non sarà piccolo. La sfida inizia con “un principiante in sovrappeso” e termina fra soli 296 giorni con la pretesa, scusate, con la certezza di tagliare il traguardo in meno di quattro ore. Chi di voi pratica la corsa sa che, già correre una maratona è un grande impegno, pensare di farlo in meno di quattro ore è una sfida nella sfida. Cos’insegnerà tutto questo? Per me, per il mio trainer, per tutti quelli che mi stanno accanto, vi è la possibilità di misurarsi, crescere, emozionarsi, avere paura, sperimentare, vincere, comprendere, comprendersi. Un ventaglio di possibilità che coinvolgono tutti, anche voi! Sì perché tutto ciò sarà raccontato, day by day, in un blog che vi prenderà per mano e vi porterà con noi. Anche questa è formazione. Qualcuno di voi potrebbe chiedersi: “Siete sicuri di vincere la vostra scommessa? Avete preso in considerazione l’ipotesi di una sconfitta?”
A costoro rispondo: “ Sì, abbiamo preso immediatamente in considerazione l’ipotesi d’una sconfitta e l’abbiamo eliminata in partenza.”
Sapete perché? La vera sconfitta è non provarci! Noi ci proviamo: per questo abbiamo già vinto!
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
martedì 11 gennaio 2011
“Quello stronzo del mio capo!”

Quante volte ho sentito ripetere questa frase. Quanta gente ho visto disperarsi e piangere, senza un’apparente via d’uscita. E, in effetti, tutti quelli che fanno un’affermazione simile hanno ragione. Sì, perché un “capo” degno di quest’appellativo, nel momento in cui s’accorge che una delle persone che lavora con lui pensa questo di lui, dovrebbe avere il coraggio di dirgli: “ Senti, so che pensi che sono uno stronzo, ma se continui a pensare così non andrai mai da nessuna parte! Se, davvero, credi che il problema sia io devi, per forza, cambiare posto di lavoro. Non puoi pensare di lavorare con un tuo superiore di cui non hai stima. Soprattutto, se hai rispetto di te non puoi prendere ordini da uno stronzo!”, poi, se davvero è un buon capo, anzi, un leader, dovrebbe aggiungere, “ Fino a quando continuerai a pensare che io sono uno stronzo, che il problema sono io, ti starai perdendo l’opportunità di guardare dentro di te, imparare qualcosa e crescere!”
Questo direbbe un buon capo! Siccome non possiamo avere la pretesa che tutti i capi siano dei leader, che ci prendano per mano e ci aiutino a crescere, dobbiamo lavorare su ciò che possiamo e cioè noi! Non possiamo avere la pretesa che a cambiare sia il nostro capo e non far nulla per modificare almeno una piccola sfumatura di noi stessi. Molti, anzi, la maggioranza, pretendono che tutto il mondo attorno a loro cambi e si trincerano dietro un “Io sono fatto/a così”. Ma se tu sei così e non fai nulla per cambiare mi vuoi spiegare perché dovrebbero essere gli altri attorno a te a impegnarsi per cambiare. Intanto, vige la buona regola di non pretendere mai dagli altri ciò che noi non riusciamo a fare. Poi, mi sembra concretamente più semplice cambiare una sola persona invece di modificare tutte le altre persone del nostro mondo. Ancor più facile sarà cambiare una sola persona se l’individuo in oggetto siamo noi. Non dovremo perdere molto tempo per cercare di convincerci: dobbiamo solo decidere e farlo. Basta partire con le solite crociate in cui si vuole piegare tutto il mondo alla nostra volontà, ai nostri desideri. Basta lamentele: agite e avrete la certezza del risultato. Siate voi il cambiamento. Cambiate le vostre percezioni, i vostri punti di vista, i vostri modi d’agire. Pongo l’accento sull’agire: occorre agire, non reagire! La vera libertà passa attraverso la vostra crescita, tramite la comprensione che, se decidete di cambiare. siete già liberi!
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
lunedì 10 gennaio 2011
“Intelligenza finanziaria ed emotività del mattone!”

Costatavo nei giorni scorsi come le cosiddette “giuste azioni”, spesso, divergano da quel che siamo portati a fare spinti dall’emotività. Qualunque esperto d’intelligenza finanziaria consiglierebbe di non comprare mai la casa in cui vivere. Maestri dell’intelligenza finanziaria come Robert Kiyosaki o Harv Heker, divenuti ricchissimi grazie al loro modo di pensare, sostengono che la casa di proprietà sia “un debito”. Ovviamente motivano questa loro affermazione e guidano i loro interlocutori alla comprensione del perché, la nostra tanto amata casa di proprietà, sia uno svantaggio anziché un vantaggio. In sintesi, sostengono che avendo una casa di proprietà si devo sostenere delle spese per mantenerla e tenerla in ordine ed il denaro investito nell’acquisto non generi nessun guadagno. Se, ad esempio, spendiamo cinquecento mila euro per acquistare un’abitazione per noi, avremo sicuramente una bella casa ma anche un “generatore di spese”. Se, la stessa cifra, la utilizzassimo per comprare tre monolocali che poi affitteremo, avremo generato una forte entrata di denaro. Una parte di questo denaro servirà per pagare l’affitto dell’abitazione in cui viviamo. Il rimanente costituirà una fonte di reddito continuativo che entrerà nelle nostre tasche ogni mese: in automatico. Il ragionamento non fa una piega. Non c’è emotività in esso. Ci sono soltanto numeri e se volete essere obbiettivi e rifare questi conti, vi accorgerete che tutto ciò è reale, è matematico. Allora perché, anche coloro che di numeri se ne intendono, come commercialisti o contabili in genere, procedono con l’acquisto di un’abitazione anziché restare in affitto? E’ molto semplice, c’è, in tutto ciò, una richiesta di sicurezza! “La compro perché così nessuno mi manda via!”
Non è vero, prova a non pagare le rate del mutuo e vedi cosa succede. Vedi se è ancora vero che nessuno “ti può mandare via”. La casa rappresenta la sicurezza, il nido, il luogo in cui possiamo rifugiarci: incarna il nostro bisogno di protezione. Nell’immaginario inconscio rappresenta il grembo materno. Per questo tutti la vogliono “calda e accogliente”. Cerchiamo nella casa le certezze che non riusciamo a trovare in noi. Vogliamo un luogo dal quale nessuno ci possa cacciare. Anche da una casa in affitto, scelta con attenzione, nessuno ci manderà via. Ci fa paura dover pagare l’affitto tutti i mesi: ci fa paura perché non crediamo in noi e nelle nostre risorse. Se ci fidassimo un po’ più di noi non avremmo difficoltà a pensare che, lavorando, ovvero, mettendo a frutto le nostre capacità, avremo la giusta retribuzione e potremo pagare l’affitto e vivere serenamente. Così, a causa della nostra insicurezza, nel dubbio di non riuscire a pagare l’affitto, ci addossiamo tra i trenta e i quarant’anni di mutuo. Si amici, trenta/quarant’anni di mutuo, dicendoci che, così, la rata è più bassa. Pensate davvero che la banca non voglia i soldi tutti i mesi come il padrone di casa a cui dovete l’affitto? Oppure, pur pensando di non essere in grado di pagare l’affitto, pensate di corrispondere con maggior serenità le rate di un mutuo? Qual è la differenza? Pensate che, se non avrete i soldi per saldare la rata del mutuo, la banca sarà più comprensiva del padrone di casa al quale non riuscite a pagare l’affitto? Bene, ho volutamente dipinto un quadro un po’ “nero”! Non l’ho fatto per dissuadervi dal comprare casa: lungi da me spingervi in tal senso! Intendevo mostrarvi come l’emotività ci spinga a cercare la sicurezza e la tranquillità convincendoci di averla trovata in luoghi o situazioni peggiori di quelli dai quali stavamo scappando. Per paura di non riuscire a pagare l’affitto c’impegnamo a pagare un mutuo per quarant’anni. Non vi sembra che ci sia qualcosa che non va? Provate a riflettere e vi accorgerete che a vincere non è stato il buon senso e nemmeno la matematica ma l’emotività.
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
domenica 9 gennaio 2011
“Cosa c’è nella vita per me?”

Vi siete mai posti questa domanda? Spesso la pigrizia ci guida e ci “trascina” in esistenze piatte e prive di significato: vuote d’emozioni. Ci incateniamo, da soli, a pensieri sbagliati che ci tengono in stati di miseria interiore ed emotiva dai quali tendiamo a non uscire più. Ci limitiamo a esprimere la nostra insoddisfazione per quel che c’è nella nostra vita e non ci chiediamo mai se, davvero, è così poco, quel che meritiamo d’avere. Rispondere alla domanda “Cosa c’è nella vita per me?”, richiede una lucidità e una sincerità emotiva che, spesso, non abbiamo. Per essere onesti con noi stessi dobbiamo farci aiutare da qualcuno che, distaccato emotivamente, può osservare noi e la nostra esistenza in modo obiettivo e neutro. Oltre a questo, un esterno, osserva l’esistenza, compresa la nostra, con i suoi occhi. Filtra quel che accade nella nostra esistenza attraverso pensieri che gli vengono dalla sua cultura e dalla sua formazione rendendo il suo punto di vista totalmente differente dal nostro. Questo lo rende in grado di mostrarci se e dove ci stiamo prendendo in giro. Mi è accaduto durante molte sessioni di coaching d’ascoltare persone che si lamentavano perché la loro vita era vuota di tutto ciò che desideravano. Prese per mano e accompagnate nella giusta direzione, giungevano esse stesse ad ammettere di “non meritare” ciò a cui tanto aspiravano. Ecco trovato il bandolo della matassa. Se pensi di non meritare una cosa essa non giungerà mai nella tua esistenza o, peggio, se avrà tanta forza da riuscire ad entrare comunque, farai di tutto per perderla. Ecco perché occorre farsi guidare. Per avere qualcuno che ti porta a capire cosa ti allontana dai tuoi obiettivi e, una volta identificati gli ostacoli emotivi, ti guida alla scoperta dei tuoi reali scopi e alla stesura di un percorso idoneo al loro raggiungimento. Già il soffermarsi a chiedersi “Cosa c’è nella vita per me?” è aver raggiunto un obiettivo: La consapevolezza che l’esistenza è pronta a darmi tutto ciò che mi serve e che devo soltanto “allungarmi” per prenderlo!
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
sabato 8 gennaio 2011
“Come posso permettermelo?”

Spesso, troppo spesso sento una frase che suona, all’incirca, così: “No non potrò mai permettermelo!”
E’ plausibile che, in un dato momento della propria vita, ci siano delle cose che non ci si possono permettere. Non è accettabile pensare che questa debba rimanere una condizione eterna, come se nulla e nessuno potessero mai intervenire per mutare quella condizione. Immagino che i vostri pensieri siano già partiti dicendo “…e, ma dai, certe cose è impossibile che accadano”, poi, nel dubbio che qualcosa possa accadere veramente, aggiungete un’altra frase “…sì possono anche accadere ma perché dovrebbero accadere proprio a me”. Anche volendo scartare l’ipotesi che ci sia un destino, oppure, una volontà superiore chiamata Dio, è possibile pensare che le cose cambino: dobbiamo soltanto volerlo! Se spostiamo il nostro desiderio dalla sfera delle ambizioni a quella degli obiettivi le cose cambiano diametralmente. Il “non posso permettermelo” è rinunciatario in partenza: è deporre le armi e capitolare. Mi arrendo ad un destino che non mi ha dato “quella cosa” e mi rendo consapevole che non l’avrò mai! NO! Sbagliato. Divento consapevole che “quella cosa” non è presente nella mia vita attuale e, per questo, mi pongo una domanda: “Come posso permettermelo?”
Questo è il giusto punto di partenza. Prendere atto che non c’è e tracciare un percorso, ovvero, determinare e programmare una serie d’azioni capaci di portarmi al mio obiettivo! Nel “Come posso permettermelo” c’è tutta l’energia che serve per imboccare la strada che ci porterà al risultato desiderato. Il cammino necessario per raggiungere il nostro traguardo ci farà crescere. Ci obbligherà ad uscire dalle aree di confort alle quali siamo abituati, a scoprire delle nuove parti di noi e, magari, a scontrarci con esse. Ci obbligherà a vedere se in noi ci sono dei blocchi che ci separano dall’obbiettivo fissato e, di conseguenza, a lavorare per rimuoverli. Potrebbe anche accadere che, una volta raggiunta la nostra meta, ci accorgeremo che quel che desideravamo non è più così importante per noi e, magari, ci accorgeremo che l’oggetto dei nostri desideri è stata soltanto un molla che l’Universo a scelto per darci la spinta in avanti che ci serviva per crescere. Quindi ricordatevi che la domanda da porsi è sempre “Come posso permettermelo” e, poi, non focalizzatevi mai sull’obbiettivo ma sulla strada per raggiungerlo! Se volete fare un passo in più, prendete il vostro vocabolario, cancellate la parola “sfiga” e sostituitela con “impegno”.
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
venerdì 7 gennaio 2011
Diceva Eleanor Roosevelt…

“Fate ciò che ritenete giusto nel profondo del vostro cuore, tanto sarete comunque criticati. Sarete maledetti se lo fate, e maledetti se non lo fate.”
A quanti di voi è capitato d’agire in un certo modo, sacrificando sé stessi e le proprie preferenze, al fine d’accontentare qualcun altro e ritrovarsi, in fine, ad aver rinunciato a qualcosa e ad essere sommerso da un mare di critiche? Avete rinunciato a ciò che volevate fare, scegliendo quel che, a vostro parere, avrebbe fatto piacere agli altri e, al sacrificio della rinuncia, si è aggiunto il fastidio della critica. Quello che recita la frase d’apertura, “Fate ciò che ritenete giusto fare nel profondo del vostro cuore, tanto sarete comunque criticati”, è quel che accade ogni giorno. Spesso, però, agiamo non tanto nel tentativo di compiacere l’altro o di assecondarlo ma nel desiderio di non apparire egoisti o ingordi. Ci hanno insegnato che l’egoismo è “male”, è sbagliato. Davvero trovate qualcosa di sbagliato nel fare ciò che sentite giusto nel profondo del vostro cuore? O ritenete, piuttosto che sia corretto seguire quel che viene dal vostro centro più profondo? Le critiche, come scrive Eleanor Roosevelt, vi giungeranno comunque. Sì, perché agendo nei confronti di un altro nel modo in cui voi ritenete giusto, sicuramente sbagliate. Questo accade perché anche l’altro, nel profondo del suo cuore, sa cos’è giusto per lui e lo sa certamente meglio di voi. E’ quasi impossibile per voi riuscire a comprendere in pieno un’esigenza annidata nell’intimo di qualcun altro e dare a essa soddisfazione. Siate egoisti. Rivedete il significato che avete dato a questo termine. Toglietelo dall’elenco degli atteggiamenti negativi, delle azioni da evitare e riprendetevi i vostri spazi: “Sarete maledetti se lo fate, e maledetti se non lo fate.”
Fate attenzione a questo tipo d’atteggiamento e, ogni volta che state per rifarlo, provate a chiedervi che cosa ricaverete da questa vostra rinuncia. “Qual è il vantaggio che avrò soffocando l’istinto che sento nel cuore per favorire, con le mie azioni, qualcun altro?”
“Perché rinuncio a me a favore di qualcun altro?”
Non vi dico di essere avidi o accentratori e volere tutto per voi e solo per voi ma vi esorto a stare all’erta e a compiere azioni che non mettano in secondo piano voi al fine di favorire qualcun altro e ricavarne un riconoscimento. L’elogio non arriverà! Nella maggior parte dei casi arriveranno le critiche. Così avrete la sofferenza della rinuncia e quella delle critiche e, tutto questo, è estremamente “MALSANO”!
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
mercoledì 5 gennaio 2011
“Il linguaggio è cambiato, anzi, la lingua!”

Il linguaggio sta cambiando, nel bene e nel male. Se, da una parte, assistiamo anche nelle trasmissioni televisive e radiofoniche, all’utilizzo di un linguaggio che un tempo avremmo utilizzato soltanto tra amici al bar, dall’altra, siamo testimoni di un idioma, soprattutto simbolico, che ci rende sempre più universali. Andando in contro a coloro che volevano nell’Esperanto la lingua universale in grado d’abbattere tutte le barriere linguistiche, la messaggistica istantanea, ovvero, quella in uso nei telefonini e su internet, ha creato un codice comune. Faccine, sorrisi con diversa intensità, musi imbronciati, tutto sta uniformando il linguaggio mondiale dei “comunicatori brevi”, quelli che devo stare nei cento quaranta caratteri. Fino ad oggi erano pochi i linguaggi condivisi a livello mondiale. Uno di questi è “l’Alfabeto Fonetico Nato”. Per intenderci è l’alfabeto creato dall’Aviazione Civile Internazionale negli anni 50 e, in seguito, adottato come standard da parte dell’intero mondo aeronautico. E’ l’alfabeto che utilizza questi termini: A – Alfa, B –Bravo, C –Charlie, D – Delta, E – Echo, etc. Tutto ciò ha reso universale lo spelling, rendendo comprensibile a chiunque, di qualunque lingua o nazione qualsivoglia tipo di sigla o parola. Volete un esempio? Provate a immaginare di dover comunicare ad un signore inglese, al telefono, il nome del ristorante di un vostro amico: “Dado”. Da bravi italiani, iniziereste dicendo: “D” di Domodossola, “A” di Ancona, “D” di Domodossola, “O” di Otranto. Il risultato potete immaginarlo! Osate, invece, dirgli: Delta, Alfa, Delta, Oscar. Avrete garantito un cliente in più al vostro amico ristoratore e un buon pasto all’inglese. Un linguaggio universale avvicina, accomuna, abbate le barriere… e le crea! Girando per le vostre città potrete notare i manifesti della campagna pubblicitaria di una nota casa automobilistica d’oltralpe. I manifesti riportano la foto di un’auto (i suo nome è C4) e, dopo la sigla dell'auto, i pubblicitari hanno inserito il classico due punti, meno, chiusa parentesi, ciò che qualunque pc tradurrebbe nel disegno di una faccina che ride [C4= :-) ] Ora, per voi che state leggendo questo blog, che siete frequentatori della rete e, per questo, avvezzi a un certo tipo di linguaggio, tutto ciò è facilmente comprensibile. Pensate a vostro padre e vostra madre, tra l’altro, potenziali acquirenti di quel tipo d’auto, che si mettono d’impegno a cercare di decifrare il comunicato che i pubblicitari stanno cercando di trasmettere loro. Non credo gli sarà facile comprendere che C4 è uguale a un sorriso, ad essere felici, anziché C4 è uguale a due punti, meno, chiusa parentesi! Ho sempre sostenuto che occorre restare al passo con la tecnologia per restare al passo col mondo e partecipare, in modo attivo, al suo cambiamento e questa ne è la prova. Il mondo “reale” si è adattato al linguaggio del mondo “virtuale”: non il contrario! Allora sorge spontanea una domanda: “Qual è il “vero” mondo reale?” A voi la risposta! Io vi dico soltanto d’imparate il linguaggio dell’uno e dell’altro: eviterete di restare segati fuori dall’uno o dall’altro. Vi saluto e vi abbraccio. "Perché tutto accade, adesso". Luca
lunedì 3 gennaio 2011
“Antenne e obbiettivi”

Non mi riferisco alle antenne che utilizzate per vedere Sky, tantomeno agli obbiettivi delle vostre macchine fotografiche. Faccio riferimento alle vostre antenne, cioè quella parte di voi che vi serve per stare allerta nella vita, per vedere e percepire il mondo e ai vostri obbiettivi, ovvero, le cose che vi siete prefissi di realizzare, i traguardi che volete raggiungere. Vorrei raccontarvi cos’è accaduto a me quando ho deciso di scrivere, giornalmente, il blog. Le mie antenne si sono “drizzate”, accese, sempre pronte a sintonizzarsi su ciò che trasmette sulla stessa frequenza. Questo perché, una parte di me, ha un obbiettivo: trovare sempre qualcosa che sia utile raccontarvi. Così, con le antenne dritte, mi sintonizzo su qualunque cosa ritengo possa servire diffondere tra i miei lettori. Questo non vale solo per il blog ma per qualunque obiettivo. Se mi do un traguardo da raggiungere ci sarà una parte del mio cervello che avrà le antenne sintonizzate su tutto ciò ch’è confacente al raggiungimento di quell’esito. Oltre a questo, avrò una direzione ben precisa e, sapendo sempre dove andare, non sprecherò energia inutilmente verso mete che non m’appartengono, che non sono mie. In più avrò chiesto la massima attenzione e la più alta energia al mio cervello ed esso me la fornirà. Come? Attraverso l’adrenalina. Se ho un obbiettivo e nutro la sincera convinzione di poterlo raggiungere, il mio corpo si predisporrà per darmi tutta l’adrenalina che mi serve per farlo. Se, invece, nutro il dubbio di non raggiungerlo, il mio fisico, nel tentativo di non “sprecarsi”, eviterà di fornire la necessaria energia. Per esemplificare potremmo dire che il nostro fisico ragiona così: “Ho un traguardo da raggiungere: devo produrre molta adrenalina”, oppure, “Visto che non sono in grado di giungere alla meta perché produrre energia che non servirà a nulla?
Per questo è importante che, prima, vi diate un traguardo, che decidiate cosa fare e dove andare, poi iniziate a camminare in quella direzione. Quindi: antenne dritte e obbiettivi chiari!
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
domenica 2 gennaio 2011
“Ampio, ristrutturato, regalato”

Potrebbe sembrare l’annuncio di un’agenzia immobiliare ma non lo è!
Si dice anno nuovo vita nuova e, allora che vita nuova sia! Sono talmente entusiasta di ciò che sta accadendo attorno al mio blog da decidere di partire con degli ampliamenti, delle “ristrutturazioni” e dei regali! Avete letto bene: regali! In realtà i regali, fino ad ora, li avete fatti voi a me. Avete letto in tanti i post pubblicati e questo mi ha dato una gioia immensa che si è aggiunta alla gioia scrivere! Oggi v’invito a uscire dalle vostre aree di confort, anche questa è formazione, e a compiere un passo in avanti. Molti di voi mi scrivono in privato e mi dicono che non hanno il coraggio di commentare i post perché gli sembra di violare la mia privacy. Ragazzi, se fossi in cerca di riservatezza non scriverei su internet: avrei un diari col lucchetto! Comincio oggi col premiare chi esce allo scoperto e vince la sua timidezza. I primo 10 che si iscrivono al blog su wordpress (http://lucapesci.wordpress.com/) si portano a casa gratis una copia del mio libro (http://www.oggihoscopertodiesseredio.it/) ! Avete capito bene: gratis! Andate sul sito e cliccate su “Sign me up!”. In più, a chi è così coraggioso da lasciare i propri commenti sui post e si spinge a scriverne almeno 5 in due settimane, regalerò una sessione di coaching: una seduta di Centering , per essere precisi! Cambierò anche il modo di presentare i pezzi, modificando la struttura del titolo. Cercherò con voi molta più interazione: la prima formazione la facciamo subito sul blog. Organizzerò delle sessioni di formazione di gruppo, “in diretta”, online (Skype), alle quali potranno partecipare soltanto gli iscritti al blog. Tante, davvero tante, novità che vi meritate di vivere tutti insieme. In più, fra qualche settimana, in regalo agli iscritti, una copia del mio e-book “Vado a riprendermi la bicicletta”!
Oggi poche righe e tante novità per arrivare, tutti insieme ai traguardi che ci siamo dati per il 2011!
Vi saluto e vi abbraccio.
"Perché tutto accade, adesso".
Luca
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